Filippa Cipriani Buondelmonti
a Montecastello di Valdera (1377)

Per non far confusione tra le carte è bene distinguere in Toscana tra Montecastello di Valdera in provincia di Pisa, anticamente in diocesi di Lucca, Montecastelli pisano nell’Alta Cecina nella valle del Pavone in diocesi di Volterra e un meno noto ma documentato Montecastelli, fortificazione rurale di Gaiole in Chianti ...
In questo caso i fatti riportati si riferiscono al piccolo centro di Valdera vicino a Pontedera e all’Arno.
Nel Trecento si legò a Uguccione Buondelmonti e a sua moglie Filippa Cipriani, come appare in una carta sciolta e alquanto lacera dei carmelitani di Pisa.
Uguccione fu persona nota con un suo posto nel Dizionario Biografico degli Italiani (D. Nenci, 1972).
Figlio di Albizzello, capitano del Popolo a Bologna nel 1321, e di Ravenna Alberti, nacque verso la fine del duecento. Da giovane visse alla corte angioina di Napoli e ottenne l’incarico di “giustiziere” (= giudice) d’Abruzzo.
Conobbe qui Gualtieri di Brienne duca d’Atene che seguì nell'impresa condotta da Firenze contro Pisa per ottenere Lucca (1342). Fu con lui anche quando il duca divenne signore della stessa Firenze e lo sostenne allorché fu cacciato il 26 luglio 1343.
Uguccione però rimase in città almeno fino al 1344; dal 1351 fu titolare di vari incarichi per il Comune e, tra gli anni 1360 e 1366, oratore inviato a Bologna, ad Avignone da papa Urbano V, e a Verona.
Diventato potente e autoritario – fin troppo nella Firenze di allora che mal tollerava le due cose – nel 1377 venne accusato e deposto con l’accusa di brogli e di un tentato omicidio. Morì quello stesso anno.
In prime nozze aveva sposato Costanza di Niccolò Gianfigliazzi e in seconde nozze Filippa di Andrea Cipriani. Aveva avuto due figli, Albizzello e Giovanna, ma dalle tavole genealogiche del Litta, non si comprende a quale moglie attribuirli ...

Filippa è ricordata nella storia fiorentina per il suo lungo testamento del luglio 1377 nel quale dispose a favore di alcuni istituti di beneficenza.
Volle innanzitutto farsi seppellire in Santa Maria del Fiore “appellatur ecclesia sancte Reparate” (detta chiesa di Santa Reparata) nel tumulo o sepoltura delle donne “overo nuore et nepoti d’Averardo vecchio de’ Medici” (Averardo di Chiarissimo, 1320-1363) ... o, se non fosse stato possibile, chiese di esserlo in Santa Maria del Carmelo, vestita con l’abito delle pinzochere e con una lapide commemorativa con su dipinti gli stemmi Cipriani e Medici.
Dispose poi i legati, che non citiamo per amor di brevità, salvo quello a sua sorella Andrea monaca in Sant’Anna di Pisa e a una certa Lagia. E volle che, con quanto doveva avere dal Comune di Firenze, si facesse fare un altare nella chiesa del Carmine con lo stemma suo e del fu Malatesta dei Medici.
Donò anche al Carmelo “omnes domos terras et iura quas habet in civitate Pisarum et eius comitatu et spetialiter in partibus Vallis Ere ...”, ordinandone la vendita per erigere una cappella.
Suo erede universale infine fu l’ospedale di Santa Maria Nuova ed esecutori testamentari Marco di Lamberto Tedaldi, Ranieri di Luigi Peruzzi e Elisabetta vedova di Davizi Cipriani.

I beni di Valdera, quasi tutti a Montecastello e alcuni nei comuni vicini, appaiono nel foglio di cui ho detto sopra.
Comprendevano tre case, due con palchi, nel castello “sopra la piaza de lo Sprone”, presso la via della Rocca e accanto al muro.
C’erano poi casolini, casolari e terre arborate e vignate in diverse località così ricordate: Poggio a piè della porta, Borgo, Ponticello di capo al Poggio, Maspia, Fonte al Piano, pie’ della Ripa dell’Acqua, Valdicella, Costantino, nella Foglia, Mamiano, Coste, Cornacchio, Valda, Valdicanaia, Fonte a Querceto, Poggiforneta, Alberello d’Arno, San Martino, in Carraia, Piagge di Campitori e di Lavaione entrambe presso l’Arno.
Altri beni, alcuni con boschi e castagni, invece erano nella corte di Treggiaia a Valdilamia, a Malcava, nella corte di San Gervasio in colle di Martigoli e nella corte di Cerreto in un luogo illeggibile.
Sono riportati anche i confinanti delle terre: la chiesa di Santa Lucia di Montecastello, il vescovado di Lucca, lo spedale d’Altopascio, il bosco del Comune, l’Arno, la pieve di San Gervasio, San Donnino e numerosi privati tra i quali – citiamo per non perderli – un ser Bartolomeo da Pontedera, l’erede di Manfredino della Seta, ser Piero Dini, l’erede di ser Smeraldo, l’erede di Nardo “giubbaiolo” ovvero Gherardo di ser Checco, gli Aiutamicristo, i Lanfranchi di Pisa e altri ancora ...
Il foglio male incollato termina affermando che le “chose” che Filippa doveva avere dalle persone, dal Comune di Pisa o dalla massa del Comune erano donate al convento del Carmine di Firenze. Al tempo della sua morte però risultavano tenute per lei o da lei in conto altrui e che era difficile saperne il tempo, i modi e il “rectore”.
Forse un modo per ottenerle sarebbe stato il “piato ordinario” (la causa civile) ma avrebbe avuto “sentenza lungha”.
Probabilmente si lasciò perdere (capita ...) ed è la ragione per la quale oggi al Carmine di Firenze non si trova presente o non è ricordata da altri documenti la cappella di Filippa.

Paola Ircani Menichini, 11 marzo 2022.
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